giovedì 22 novembre 2012

TUTTI SANNO ... che Philip Roth è il migliore.

Per l'incipit di questa settimana, vi propongo un qualcosa di leggermente diverso. 

Il testo selezionato è La macchia umana di Philip Roth. Scritto magistralmente. Nulla da aggiungere quando si ha la sensazione di leggere qualcosa di assolutamente perfetto. 

Vorrei però fare qualcosa di diverso. Ovvero vorrei non tanto riportare quanto scritto nella prima pagina del romanzo (che, comunque, trovo perfettamente riepilogativa), bensì quanto presente nelle due pagine a seguire. Mai ho letto una così compiuta analisi della società e mai, eccezion fatta per Saramago, ho fagocitato queste due pagine.

L'ESTATE DELL'IPOCRISIA


L’estate in cui Coleman mi fece le sue confidenze su Faunia Farley e il loro segreto fu, in modo abbastanza appropriato, l’estate in cui il segreto di Bill Clinton venne a galla in ogni suo minimo e mortificante dettaglio: in ogni suo minimo e ‘vivido’ dettaglio, là dove la vita, come la mortificazione, stillava dall’asprezza dei dati specifici. Non avevamo avuto una stagione come quella da quando qualcuno era incappato nella nuova Miss America nuda in un vecchio numero di “Penthouse”, foto di lei elegantemente in posa in ginocchio e sdraiata sulla schiena che costrinsero la ragazza, piena di vergogna, a restituire la corona, per diventare, in un secondo tempo, una celebre pop star. Quella del novantotto del New England fu un’estate di sole e di uno squisito tepore; l’estate – nel baseball – di una mitica battaglia tra un dio degli ‘home run’ bianco e un dio degli ‘home run’ di pelle scura; e, in America, l’estate di un’orgia sessuale di bacchettoneria, un’orgia di purezza nella quale al terrorismo - che aveva rimpiazzato il comunismo come minaccia permanente alla sicurezza del paese – subentrò, come dire, il xxx, e un maschio e giovanile presidente di mezza età e un’impiegata ventunenne impulsiva e innamorata, comportandosi nell’Ufficio Ovale come due adolescenti in un parcheggio, ravvivarono la più antica passione collettiva americana, storicamente forse il suo piacere più sleale e sovversivo: l’estasi dell’ipocrisia.


Roth contestualizza il periodo in cui è vissuto il suo protagonista, Coleman Silk, rievocando perentori giudizi moralistici che spesso sono frutto di idealistici stereotipi. Nulla succede mai per puro caso e le scelte narrative hanno sempre un loro motivo poco arcano, in questo caso, ma molto esemplificativo.


AVER VISSUTO NEL 1998

Nell'aula del Congresso, sulla stampa e alla televisione, i cialtroni tronfi e morigerati, smaniosi d'incolpare, deplorare e punire, facevano i moralisti a più non posso: tutti in un parossismo calcolato di quello che Hawthorne (il quale, negli anni tra il 1860 e il 1870, abitava a non molte miglia dalla porta di casa mia) identificò, nel paese nascente di tanto tempo fa, come "lo spirito di persecuzione"; tutti ansiosi di celebrare gli astringenti riti purificatori che avrebbero estirpato l'xxx dall'esecutivo, rendendo cosi la situazione abbastanza confortevole e sicura perché la figlia decenne del senatore Lieberman potesse riprendere a guardare la tivù col suo imbarazzato paparino. No, se non siete vissuti nel 1998 non sapete cos'è l'ipocrisia. Il columnist conservatore William F. Buckley scrisse nella sua rubrica: "Quando lo fece Abelardo, fu possibile evitare che si ripetesse", insinuando che il modo migliore di rimediare all'illecito presidenziale - quella che Buckley definiva, altrove, l' "incontinente carnalità di Clinton" - forse non era una cosa incruenta come l'impeachment ma, piuttosto, il castigo che nel dodicesimo secolo venne inflitto al canonico Abelardo dal coltello dei compari del collega ecclesiastico di Abelardo, il canonico Fulberto, per vendicare la seduzione e il matrimonio segreto con la nipote di Fulberto, la vergine Eloisa. Diversamente dalla fatwa di Khomeini che condannava a morte Salman Rushdie, l'intenso desiderio nutrito da Buckley per la pena correttiva della castrazione non comportava incentivi finanziari per il possibile esecutore. Questa era suggerita, tuttavia, da uno spirito non meno severo di quello dell'ayatollah, e in nome di ideali non meno elevati.

Ve la ricordate quell'estate? Io sì. Io mi ricordo due cose principalmente: la prima, la sequenza di immagini di  Monica Lewinsky, di Bill Clinton in vacanza e abbracciato a sua moglie; la seconda, i dibattiti televisivi  con le presunte ricostruzioni e opinioni sul rapporto marito-moglie e sul tradimento.

Mi ricordo perfettamente quali erano i pensieri miei e quelli della mia famiglia seduti a tavola per cena: ma a me/noi cosa importa della sfera privata di Clinton? Perché ai cittadini e ai parlamentari americani dovrebbe tanto interessare? Certo è vero che questa persona era il Presidente degli Stati Uniti d'America e quando poi in Università studiai Weber, allora capii qualcosa in più: gli uomini politici devono seguire una certa etica nel loro agire. Si tratta dell'etica della responsabilità secondo la quale ogni fatto che avviene nella società produce delle conseguenze, alle quali il politico si deve adattare; se ciò che sta accadendo si discosta dai suoi dogmi esso deve, in qualche modo, mediare.

IL GUAZZABUGLIO DI UN'ESTATE NAUSEABONDA

Era estate, in America, quando tornò la nausea, quando non cessarono gli scherzi, quando non cessarono le congetture e le teorie e le iperboli, quando l'obbligo morale di spiegare ai propri figli la vita degli adulti fu abrogato per tenere viva in loro ogni illusione sulla vita degli adulti, quando la meschinità della gente apparve semplicemente schiacciante, quando una specie di demone era stato sguinzagliato nel paese e, da ambo le parti, la gente si chiedeva: "Perché siamo cosi pazzi?", quando uomini e donne, svegliandosi al mattino, scoprivano che durante la notte, in un sonno che li aveva trasportati oltre l'invidia o il ribrezzo, avevano sognato la spudoratezza di Bill Clinton. Sognai io stesso un gigantesco striscione, dadaisticamente teso come uno degli involucri di Christo da un capo all'altro della Casa Bianca, con la scritta QUI ABITA UN ESSERE UMANO. Era l'estate in cui - per la miliardesima volta - il casino, il pasticcio, il guazzabuglio si dimostrò più sottile dell'ideologia di questo e della moralità di quello. Era l'estate in cui il pene di un presidente invase la mente di tutti e la vita, in tutta la sua invereconda sconcezza, ancora una volta disorientò l'America.


La versione inglese dell'ultima frase posta in grassetto qui sopra è la seguente:

the jumble, the mayhem, the mess 
proved more subtle than this one's ideology and that one's morality

Trovo che la traduzione italiana di Vincenzo Mantovani dei tre sostantivi sia perfetta, soprattutto del terzo. Il guazzabuglio gaddiano ben rende l'idea dell'elevatezza del mestiere di scrivere, ma soprattutto della difficoltà di individuare e punire il colpevole. Perché alla fine, siamo tutti figli della stessa società.


PHILIP ROTH
La macchia umana
ET Einaudi
2012 - 17esima edizione
(12,50 euro)






P.S. Ho posto delle xxx a livello del primo e secondo paragrafo riportato per una questione molto semplice: questi post li potrebbero leggere diverse persone tra cui i miei stessi nipoti. Non ritengo opportuno, per la loro età, inserire il termine (anche se penso che questo post non lo leggeranno!). Passerò per bigotta, andando contro la linea generale di questo post, però se lo leggessero? Cosa penserebbe la loro madre e come potrei spiegare loro certe cose? (anche se, ripeto, non lo leggeranno!)

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