venerdì 21 dicembre 2012

Nonne aspicis, quae in templa veneris?

Questa settimana mi è capitato di avere tra le mani una versione di Cicerone tratta dall'ultima parte del sesto libro di De re pubblica.

Mi piace molto questo testo ... penso che assieme al De rerum Natura di Lucrezio sia uno dei capolavori della letteratura latina. 

(6.9) Cum in Africam venissem M. Manilio consuli ad quartam legionem tribunus, ut scitis, militum, nihil mihi fuit potius quam ut Masinissam convenirem regem, familiae nostrae iustis de causis amicissimum. [...] P. Cornelium Scipionem, cuius ego nomine ipso recreor; itaque numquam ex animo meo discedit illius optimi atque invictissimi viri memoria’. [...]

(6.10) Africanus se ostendit ea forma, quae mihi ex imagine eius quam ex ipso erat notior; quem ubi agnovi, equidem cohorrui, sed ille ‘Ades’ inquit ‘animo et omitte timorem, Scipio, et, quae dicam, trade memoriae.’

A Scipione Emiliano compare in sogno suo nonno adottivo Scipione l'Africano. E guardate con quali parole il  nonno si rivolge al nipote: Stai sereno, deponi il tuo timore, Scipione, e tramanda alla memoria le parole che ti dirò.

Per me sono molto belle. Poi considerate il suggerimento successivo:

(6.12) ‘Hic tu, Africane, ostendas oportebit patriae lumen animi, ingenii consiliique tui. [...] tu eris unus, in quo nitatur civitatis salus, ac, ne multa, dictator rem publicam constituas oportet, si impias propinquorum manus effugeris. ’Hic cum exclamasset Laelius ingemuissentque vehementius ceteri, leniter arridens Scipio ‘St! quaeso’ inquit, ‘ne me e somno excitetis, et parumper audite cetera.’

Mostrare alla patria la luce del coraggio, dell'indole e del senno del nipote perché lui sarà il solo nel quale  tutti potranno trovare sostegno la salvezza della città e la stabilità dello Stato. 
A questo punto il nonno gli ricorda:

(6.13) sic habeto: omnibus, qui patriam conservaverint, adiuverint, auxerint, certum esse in caelo definitum locum, ubi beati aevo sempiterno fruantur; nihil est enim illi principi deo, qui omnem mundum regit, quod quidem in terris fiat, acceptius quam concilia coetusque hominum iure sociati, quae civitates appellantur; harum rectores et conservatores hinc profecti huc revertuntur.’

Ovvero "per tutti gli uomini che abbiano conservato gli ordinamenti della patria, si siano adoperati per essa, l'abbiano resa potente, è assicurato in cielo un luogo ben definito, dove da beati fruiscono di una vita sempiterna. A quel sommo dio che regge tutto l'universo, nulla di ciò che accade in terra è infatti più caro delle unioni e aggregazioni di uomini, associate sulla base del diritto, che vanno sotto il nome di città: coloro che le reggono e ne custodiscono gli ordinamenti partono da questa zona del cielo e poi vi ritornano". 

E nel frattempo intravede anche il padre, Paolo e leggete cosa scrive:

(6.14) Quem ut vidi, equidem vim lacrimarum profudi, ille autem me complexus atque osculans flere prohibebat.

E, infine, vi lascio con questa:

(6.17) ‘Quaeso’ inquit Africanus, ‘quousque humi defixa tua mens erit? Nonne aspicis, quae in templa veneris? Novem tibi orbibus vel potius globis conexa sunt omnia, quorum unus est caelestis 

La traduzione è la seguente:

L'Africano mi disse: 'posso sapere fino a quando la tua mente rimarrà fissa a terra? Non ti rendi conto a quali spazi celesti sei giunto? Eccoti sotto gli occhi tutto l'universo compaginato in nove orbite, anzi, in nove sfere.

Fantastico.


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