domenica 17 marzo 2013

Il compagno, ovvero la volontà di spezzare il cerchio della solitudine (?)

"8 ottobre 1948. Riletto ad apertura di pagina, pezzo del Compagno. Effetto di toccare un filo di corrente. C'è una tensione superiore al normale, folle ... Uno slancio continuamente bloccato. Un ansare ..."

Con queste parole, Pavese annotava riflessioni anni dopo l'uscita del libro, Il compagno.

Ammetto di non ricordare il momento in cui ho comprato questo libro, so però che lo lessi durante i viaggi, andata e ritorno, Nizza Monferrato - Torino.

Mi son spesso chiesta perché Pavese avesse scelto come titolo quello di Il compagno. Inizialmente l'opera parla di Amelio, amico di Pablo (il protagonista) e della sua condizione di paralizzato ... poi prosegue con la storia travagliata con Linda a Torino, per poi far proseguire la vicenda a Roma. E' a Roma che si comprende bene la questione dei "compagni" e del contesto politico in cui inserirla. Ed è a Roma che l'opera finisce con il ricordo di Amelio. Insomma, il senso del titolo, secondo il mio punto di vista, lo si coglie all'inizio e alla fine. Nel mezzo c'è altro ... c'è tanto e altro. 

Il protagonista è Pablo, un giovanotto piccolo borghese che suona la chitarra, che mentre va a trovare il suo amico Amelio conosce Linda. Con questa ragazza instaurerà una relazione in una Torino "da ballare" (si potrebbe fare un'intera analisi di quest'opera solo sulla base degli spazi urbani frequentati da Pablo). E' un rapporto particolare perché nel difficile equilibrio che ogni coppia deve costruirsi, inevitabilmente Pablo comincia a sentire una certa sofferenza, una crisi esistenziale:

In quei giorni, ricordo, mi svegliavo di colpo, pensavo a Linda e mi pareva di avercela accanto. Ma poi stavo nel letto occhi chiusi e pensavo a tutt'altro; mi pareva di averci un grosso affanno e di essere come un bambino, più solo di un cane, aver fatto qualcosa di brutto e di senza speranza. Non avevo più scampo, non osavo sentirmi, avrei voluto non svegliarmi e mori lì. Neanche l'idea che se un giorno avessi avuto Linda accanto l'avrei presa, mi bastava. Mi facevo pietà, quest'è il fatto. Ero come un bambino che mettono nudo sul tavolo e poi mamma e sorelle se ne vanno di casa. Nascondevo la testa e mi affannavo. 
(p. 39)

Comincia a emergere, lentamente, l'idea della solitudine:

Tutta la notte stetti solo, e l'idea che dovevo passarne ancor una mi toglieva il coraggio. Ogni tanto dicevo delle cose nel buio. M'abbracciavo stretto al cuscino e dicevo qualcosa. Quel che pensavo, ormai l'avevo già pensato tante volte, che era come gli scalini di casa.
(pp. 65-66)

Mentre parlava, mi ero accorto di esser solo. Me ne accorsi di colpo e fui quasi felice. Sapere che, dopo esser stato lassù nel letto, avrei disceso quella scala e camminato, traversato Torino e dormito da solo, mi diede un urto come un sorso di liquore. Non m'importò più di nient'altro ... 
(p. 71)

E' difficile porre delle definizioni per i termini e i concetti utilizzati da Pavese. Ma è certo che c'è una chiave di lettura nella ripetizione. Insomma, il rapporto con Linda non funziona e la crisi esistenziale che Pablo sta vivendo potrebbe non dipendere in maniera esclusiva dalle difficoltà relazionali, bensì da un qualcosa che c'è sempre stato e che, ogni tanto, si manifesta. Sicuramente questo non è il romanzo in cui è rivelata la chiusa esplicativa del dramma esistenziale, tuttavia nei momenti in cui Pablo affronta il tema del "lavorare" e della "solitudine" si capisce il perché del titolo. Il compagno è colui con cui si lavora e con cui si discute di politica. Compagno è colui che condivide con noi un qualcosa. Era Amelio ... e quando alla compagnia di Amelio è stata preferita quella di Linda (naturalmente), allora qualcosa nella melodia è stonato. E Pablo lo capisce quando la storia con Linda non funziona. E si sente solo. 

E allora parte per Roma, la Roma da "mangiare e bere", ma anche la Roma "politica". C'è un cambio di tono nel romanzo: si parla di cospirazioni e di riunioni clandestine nel periodo fascista. Non siamo più a Torino, ma a Roma, dove tutti i compagni, incluso Amelio, vanno a finire. Incluso Pablo. Il clima di Roma è diverso da quello di Torino: c'è il fascismo, c'è la polizia, c'è la prigione e c'è anche un certo senso di solidarietà verso chi ha condiviso questi momenti. 

Voglio dirti una cosa, - mi fece. - C'è questa sola differenza tra noi due: quello che a me è costato mesi di sudori per decidermi e libracci e batticuori, tu e la tua classe ce l'avete nel sangue. Sembra niente. 
- Difficile è stato trovarli, i compagni.
- E perché li hai cercati? Speravi qualcosa? Li hai cercati perché avevi l'istinto
(pp. 125-126)

Non è che forse siamo tutti alla ricerca, una ricerca ontologica, di un compagno?

CESARE PAVESE
Il compagno
Einaudi
1990
(Lire 13.000)

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